Qualche giorno fa è uscito sul British Medical Journal un articolo (non scientifico, proprio un articolo di cronaca) che da molti è stato interpretato come “Pfizer cattiva, ha falsificato i dati dei trial”. Leggendo effettivamente l’articolo si nota però che la storia è molto diversa da come è stata presentata dai media e da certi frettolosi commentatori tipo Luca Telese.
Partiamo dalle basi: tutto l’articolo si basa sulle accuse di Brook Jackson, ex direttrice di uno dei centri texani della Ventavia Research Group, e di due altri impiegati, rimasti anonimi. Alcune di queste accuse sono molto gravi, altre poco più di lamentele sulla disorganizzazione. Alcune sono verificabili, e per altre dovremmo solo fidarci. Non tutto quello che viene riportato nell’articolo è quindi rilevante per la storia.
Ok, quindi la storia qual è? Che un’ex dipendente di una una delle numerose aziende con cui Pfizer ha collaborato per la sperimentazione del suo vaccino accusa il suo ex datore di lavoro di non aver lavorato sempre in maniera ottimale.
Pfizer c’entra poco e niente
Il Ventavia Research Group, vero protagonista dell’articolo, di cosa si occupa? Di sperimentazione clinica. Per quanto grande infatti, anche la più grande “Big Pharma” non ha le risorse necessarie per gestire la sperimentazione clinica di un nuovo farmaco su più di 40.000 persone e quindi “subaffitta” a diverse aziende. Ventavia è appunto una di queste.
Pochi centri coinvolti
La sperimentazione del vaccino Pfizer si è basata sui dati provenienti da 153 centri di ricerca, di cui solo 3 erano gestiti da Ventavia. In totale, questi tre centri si sono occupati di circa 1000 volontari, ovvero poco più del 2% dei partecipanti. Per quanto possano aver lavorato male, è quindi improbabile che ciò abbia avuto un impatto sostanziale sul risultato finale dello studio.
“Cattive pratiche di laboratorio”
Una delle accuse più altisonanti e allo stesso tempo ridicole fatte dalla Jackson è che nei laboratori di Ventavia non si lavorasse correttamente. Peccato che poi come esempio riporti “aghi di siringa buttati nei sacchetti invece che nei contenitori per gli oggetti affilati”. Se uno è stato più di 5 minuti in un laboratorio, sa che aghi e vetri vanno buttati in specifici contenitori proprio per evitare che chi li va a svuotare si punga o si tagli. D’altro canto è pure vero che in quei cinque minuti ti spiegano che la gente è scema, e che ogni tanto aghi e vetri vengono buttati nei sacchetti, ragion per cui questi vanno sollevati in un modo particolare per evitare potenziali tagli.
E’ quindi una cosa grave? Sì, nel senso che evidentemente chi lavorava nel laboratorio non era esattamente un esperto. No, nel senso che non compromette l’integrità dei dati clinici.
Si è perso il “cieco”
I trial clinici più rigorosi si svolgono in doppio cieco, il che significa che né il paziente né il medico sanno se quello che viene somministrato è il vaccino o il placebo. Perché è importante? Perché se il paziente fosse sicuro di aver ricevuto il vaccino potrebbe decidere di esporsi a situazioni rischiose, falsando i risultati. Allo stesso modo, l’atteggiamento del medico che somministra, ad esempio, il placebo potrebbe far capire al paziente cosa gli è appena stato iniettato, e quindi spingerlo a comportarsi diversamente.
Dunque, se nè l’iniettato né l’iniettatore posso sapere cosa c’è nella siringa, chi la prepara? Una terza persona, appunto il preparatore. Questa persona prepara la dose, ci appicica un codice, e poi nella lista di pazienti segna che codice viene assegnato a che paziente. In questo modo è possibile risalire alla fine a chi ha ricevuto cosa.
La Jackson riporta che queste liste sono state lasciate un po’ in giro nel centro di ricerca Ventavia e che quindi potenzialmente avrebbero potuto rivelare chi aveva ricevuto cosa. E’ importante notare che non siamo sicuri che ciò sia successo, ma che se anche fosse successo, sarebbe accaduto DOPO l’iniezione, e quindi avrebbe avuto ben poche possibilità di influenzare il comportamento del paziente.
Vaccini malconservati
Altra critica accennata ma non approfondita è quella secondo cui i vaccini sarebbero stati malconservati. All’epoca del trial le condizioni di conservazione del vaccino Pfizer erano molto stringenti, ma adesso sappiamo che lo erano inutilmente. A meno che in questo centro di ricerca non abbiano conservato i vaccini in forno (e va bene scemi, ma così è veramente troppo) è quindi ben poco probabile che ciò abbia inficiato lo studio. Anzi, se mai avesse avuto un impatto sullo studio sarebbe stato quello di diminuire l’efficacia del vaccino.
I dati falsi
Questa è senz’altro l’accusa più grave. Si parla di reazioni avverse documentate in ritardo e tamponi non fatti, ma anche di dati modificati dopo essere stati registrati. E’ un problema se un’azienda modifica i dati clinici dopo averli raccolti? No. Nelle aziende si possono “correggere” i dati raccolti purché si segnali di averlo fatto. In parole povere, se per sbaglio segni che un paziente è morto ma in realtà è ancora vivo puoi correggerti, ma devi esplicitamente scrivere chi sei, quando stai effettuando la correzione, e come stai correggendo. Il problema quindi non è il cambiamento di per sè, ma la mancanza di formalità nel farlo.
Stesso vale per le reazioni avverse documentate in ritardo. Di per sè non è un problema, però deve essere segnalato che il contatto col paziente è avvenuto tardi. Il riferimento ai tamponi non fatti è invece più grave, perché il trial aveva proprio l’obiettivo di rilevare quanto il vaccino proteggeva dal COVID. La verità però è che questa accusa è anche la più vaga: nell’articolo si parla di “numerosi casi”, ma quanti? 10? 100? 1000? In ogni caso parliamo di un fenomeno che ha interessato meno del 2% dei partecipanti al trial, avendo di fatto un impatto al massimo classificabile come “ridicolo” sui numeri del trial.
Quindi il vaccino Pfizer funziona?
Sì, il vaccino prodotto da Pfizer funziona. Non lo sappiamo solo perché c’è stato un trial che lo ha dimostrato, ma perché milioni di persone sono state vaccinate e da allora numerosi studi ne hanno confermato sicurezza ed efficacia. Sappiamo che protegge dalle infezioni (anche se nonn sappiamo per quanto tempo esattamente) e sappiamo che il richiamo è necessario per mantenere alta la protezione. Tutto ciò lo sappiamo osservando i dati del mondo reale, in cui si è diffusa una variante estremamente contagiosa (delta) e nonostante le pochissime restrizioni l’incidenza di contagi e morti tra i vaccinati è bassissima.
Vogliamo criticare gli aspetti tecnici delle sperimentazioni cliniche? Ben venga, anzi è assolutamente auspicabile che si cerchi sempre di migliorare. Magari però sarebbe meglio se questi miglioramenti arrivassero a seguito di inchieste con solidi dati a supporto piuttosto che da testiminianze condite di retorica psudo-complottista.
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