Biologi per la Scienza
Image default
COVID-19

Lo studio supercazzola sulle terapie domiciliari precoci

Il Comitato Cura Domiciliare Covid19 sostiene di aver pubblicato uno studio che dimostrerebbe l’efficacia delle terapie domiciliari precoci contro il coronavirus (SARS-CoV-2). Ma è una bugia. Ecco perché.

Una terapia rivoluzionaria

Immaginate di leggere su internet che un gruppo di medici ha trovato una terapia rivoluzionaria per il diabete: lo zucchero filato. La notizia inizialmente vi fa sorridere, ma poi leggete che il gruppo di medici ha anche pubblicato uno studio che dimostra che dosi moderate di zucchero filato sono efficaci per curare il diabete. Le cose adesso sembrano più serie: lo studio è scritto in inglese, e leggete che è pubblicato su una rivista internazionale, con la partecipazione di un medico americano. Razionalmente sapete che non può essere vero, ma una vocina dentro vi sta iniziando a dire che forse sarebbe il caso di portare la nonna diabetica al luna park. È questo il momento in cui bisogna porsi una domanda fondamentale: come hanno fatto i medici a dimostrare l’efficacia dello zucchero filato?

Lo studio

Un gruppo di 200 malati di diabete è stato diviso in due sottogruppi:

  • Al gruppo 1 sono stati dati da mangiare 100 grammi di zucchero filato, ogni giorno per due settimane.
  • Al gruppo 2 è stato dato da mangiare 1 kg di zucchero filato, ogni giorno per due settimane.

Trascorse le due settimane, un’attenta osservazione rivela che i pazienti del gruppo 1 stanno nettamente meglio di quelli del gruppo 2. Da questo i medici concludono che assumere 100 grammi al giorno di zucchero filato è una terapia efficace per il trattamento del diabete. La vocina dentro di voi ora vi sta dicendo che questi medici non hanno affatto dimostrato che dare dello zucchero filato alla nonna sia una grande idea. Allo studio manca qualcosa che è invece fondamentale in qualsiasi ricerca scientifica: un gruppo di controllo.

Avevamo già parlato dell’importanza del gruppo di controllo, qui.

Il gruppo di controllo

Quando si vuole dimostrare l’efficacia di una terapia è necessario paragonare i pazienti che hanno ricevuto terapia, con un gruppo di controllo. Nel nostro caso il gruppo di controllo potrebbero essere pazienti diabetici con una dieta che non prevede l’assunzione di zucchero filato, oppure un gruppo di pazienti diabetici che riceve le terapie standard per la malattia.

La presenza di un gruppo di controllo permetterebbe di rispondere a una domanda fondamentale: i pazienti diabetici che mangiano 100 grammi al giorno di zucchero filato stanno meglio o peggio dei pazienti che non lo mangiano, o dei pazienti che ricevono le terapie standard per il diabete? In assenza di un gruppo di controllo l’unica conclusione che si può trarre da uno studio del genere è che i pazienti diabetici che mangiano meno zucchero filato stanno meglio di quelli che ne mangiano di più. E ci mancherebbe.

La vocina dentro di voi vi sta dicendo che più che uno studio questa è una supercazzola.

Lo “studio” sulle terapie domiciliari precoci

Per quanto possa sembrare assurda, la storia raccontata non è tanto diversa dal contenuto dello “studio” pubblicato dal Dottor Serafino Fazio sulla rivista Medical Science Monitor. Ci sarebbe veramente molto da scrivere sull’articolo, ma per ora vogliamo concentrarci solo su una cosa: questo articolo non prova nemmeno lontanamente l’efficacia delle terapie domiciliari precoci. E ora potete già immaginare perché: manca il gruppo di controllo.

Lo studio è organizzato in questo modo:

  • un gruppo di pazienti positivi al SARS-CoV-2 ha iniziato la terapia domiciliare entro 72 ore dalla comparsa dei sintomi
  • un secondo gruppo di pazienti positivi al SARS-CoV-2 ha iniziato la terapia domiciliare oltre 72 ore dalla comparsa dei sintomi

Nei risultati dello studio si legge che i pazienti del primo gruppo hanno avuto una durata dei sintomi più breve, una minore severità della malattia e un minore tasso di ospedalizzazione, rispetto ai pazienti del secondo gruppo.

Conclusioni sbagliate

Le conclusioni dell’articolo recitano: “Questo studio “real world” di pazienti della popolazione italiana ha mostrato che la diagnosi precoce e la terapia precoce, iniziata entro tre giorni dalla comparsa dei sintomi, hanno ridotto la severità della COVID-19 e il tasso di ospedalizzazione.”

A questo punto è chiaro che questa conclusione è semplicemente falsa. La mancanza di un gruppo di controllo impedisce di trarre qualsiasi conclusione di questo tipo. Come stanno i pazienti trattati con la terapia domiciliare precoce rispetto ai pazienti che non ricevono alcun trattamento? E come stanno rispetto ai pazienti che vengono curati secondo il protocollo di cura ministeriale?

Non c’è alcuna lontanissima prova che la terapia domiciliare precoce abbia un qualsiasi effetto positivo per i pazienti. La terapia potrebbe anche essere dannosa in entrambi i casi, ma più dannosa nel secondo, esattamente come nell’esempio dello zucchero filato. Paragonare pazienti che hanno ricevuto la stessa terapia con tempistiche diverse, non ci dice assolutamente nulla sull’efficacia di quella terapia.

Come deve essere andata.

Ma non finisce qui

Lo studio non fornisce alcuna prova di efficacia della terapia, ma c’è un elemento che suggerisce che il protocollo di cura potrebbe essere addirittura pericoloso, almeno nei pazienti trattati dopo 72 ore dalla comparsa dei sintomi. In questo gruppo, con età media di 45 anni, si riscontra un tasso di ospedalizzazione del 19.18% (quasi una persona su cinque). Stime pubblicate su The Lancet attestano il tasso di ospedalizzazione dovuto alla variante Delta intorno al 2% (qui e qui). Dunque a giudicare dai numeri presentati dagli autori, sembrerebbe che il trattamento iniziato dopo 72 ore dall’insorgenza dei sintomi aumenti di dieci volte il rischio di ospedalizzazione. Immaginate le conseguenze catastrofiche sue un infetto su cinque avesse bisogno di essere ricoverato. L’apocalisse.
Comunque, il numero molto ridotto di pazienti coinvolti nello studio non permette di trarre conclusioni definitive nemmeno in questo senso. Ma gli autori avrebbero dovuto farci caso.

Chi ha scritto lo studio

Dopo tutti i problemi di metodo veniamo quindi a chi ha effettivamente scritto lo studio. Si legge:

Tra gli autori un docente in pensione (Serafino Fazio), un omeopata (Paolo Bellavite) e un ricercatore indipendente (Flora Affuso). Nei conflitti di interesse degli autori si legge che Paolo Bellavite è consulente dell’azienda Vanda s.r.l, azienda che produce e commercializza Esperivit Q100 uno degli integratori utilizzati nello studio, bene che sia stato scritto. A completare la lista degli autori vi è anche Peter A. McCullough, cardiologo americano, ancora oggi convinto che l’idrossiclorochina possa curare la COVID-19.

Ci sentiamo di dare un consiglio agli autori, la prossima volta se volete pubblicare su un rivista ad alto impatto (Med Sci Monit su cui avete pubblicato non supera 2) presentate più dati e meno auto celebrazioni. Uno studio osservazionale, senza controllo, per dimostrare l’efficacia di un trattamento di cui gli autori sono ideatori e promulgatori è già sufficiente per definire l’articolo non degno di nota.


Se ti piace e ritieni utile quello che scriviamo puoi supportarci tramite il nostro Patreon.

Articoli correlati

Mutazioni, contagi, scuole e vaccini

Biologi per la Scienza

Un tampone da NOBEL allo Scoglio (Stefano)

Biologi per la Scienza

Tutto quello che sappiamo (ad ora) sui vaccini

Biologi per la Scienza