Il fatto che usiamo solo il 10% del nostro cervello è una delle leggende a tema neuroscientifico in assoluto più dure a morire. La sua origine non è chiara, ma nel tempo essa si è alimentata di varie incomprensioni, fraintendimenti e semplificazioni delle nostre conoscenze sul cervello.
“Colpa” di Einstein?
Una delle storie più note (raccontata egregiamente dal Prof. Piero Paolo Battaglini, se vi siete persi la sua bellissima lezione andate a recuperarvela, la trovate qui) riguarda Albert Einstein. Per raccontarla bisogna dire un paio di cose sulla nostra corteccia cerebrale. La corteccia (lo strato più esterno del cervello) è stata progressivamente divisa in una serie di aree, diverse dal punto di vista funzionale: ci sono aree che si occupano della comprensione del linguaggio, aree che si occupano del movimento delle dita, e così via. Una classificazione fondamentale è presente tra le aree primarie e le aree associative. Spieghiamo la differenza con un esempio. L’area visiva primaria (V1) è l’area del cervello in cui è codificata, in prima istanza, la vista. L’informazione raccolta dai nostri occhi arriva all’area V1, e da qui inizia ad essere processata: se l’area V1 venisse rimossa dal nostro cervello saremmo completamente ciechi (beh in realtà non completamente). Una volta elaborate dalla area V1, le informazioni visive passano ad altre aree, dette associative, che si occupano di funzioni più specifiche: riconoscere forme, oggetti, volti o movimenti, ed altro ancora. Rimuovere in toto una di queste aree non rende ciechi ma causa deficit più circoscritti e legate al ruolo di quell’area. Ai tempi di Einstein era ormai chiaro il ruolo delle aree primarie, molto più facile da determinare, e sfuggiva invece alla comprensione il ruolo di gran parte delle aree associative. Ecco: le aree primarie occupano il 10% della corteccia mentre il restante 90% è dedicato alle aree associative. Per questo, pare, che Einstein abbia detto che (a quel tempo) eravamo a conoscenza del ruolo di solo il 10% del nostro cervello. La notizia fu riportata erroneamente e comparve (o fu ulteriormente alimentata) l’idea del limitato utilizzo del cervello umano, del 10% appunto.
Questione di glia?
Un’altra suggestione che ha alimentato questo mito risiede nel fatto che per molti anni si è creduto che solo il 10% delle cellule che compongono il nostro cervello fossero neuroni. Come ha spiegato la Prof. Fabrizia Cesca nella sua lezione, il cervello è popolato da una grande varietà di cellule di glia, oltre che da neuroni. Chi fosse interessato a sapere di più sull’identità e sul ruolo della glia è invitato ad ascoltare la bella lezione della Professoressa Cesca. Quello che conta per noi, in questo momento, è che per moltissimo tempo si è ritenuto che la glia fosse molto più numerosa dei neuroni, un rapporto di circa 1 a 10. Un rapporto perfetto per alimentare il mito dell’utilizzo del 10% del cervello. Questa stima è stata considerata vera dalla comunità scientifica fino a qualche anno fa, finché una ricercatrice brasiliana non ha preso le cellule del cervello e… le ha contate. E così si è scoperto che in realtà il rapporto tra glia e neuroni è pressoché di 1 a 1.
Con le conoscenze attuali siamo consapevoli del ruolo delle cellule gliali, e d’altra parte è stato dimostrato in modo incontrovertibile che utilizziamo al 100% il nostro cervello e che non esistono capacità segrete e sovrannaturali che potremmo essere in grado di sviluppare. Ormai il mito dell’utilizzo del 10% del cervello è rimasto solo come una suggestione buona per film e serie TV. No? Non potremmo mai vivere solo col 10% del nostro cervello, giusto?!
L’uomo a cui “manca” il 90% del cervello
Beh, qualche anno fa una scoperta ha fatto vacillare queste sicurezze. Nel 2007 su The Lancet (una prestigiosa rivista medica) è stato pubblicata una storia a dir poco stupefacente. Un uomo francese di 44 anni, lavoratore, padre e marito, una persona con una vita che tutti definiremmo “normale”, si era rivolto a dei medici per alcuni problemi di pesantezza e stanchezza alle gambe, di origine neurologica. Il risultato degli esami medici condotti, che vedete nella foto, fu abbastanza scioccante. Un idrocefalo (un accumulo di liquidi nel cervello) aveva letteralmente scavato nel tessuto nervoso di quella persona, riducendo il suo cervello ad un sottile strato di tessuto nervoso sotto il cranio. Qualcuno disse, ma questa cifra non era riportata negli articoli scientifici, che era rimasto intatto solo il 10% del cervello (here we go again). Ovunque si diffusero (e si trovano molti racconti anche al giorno d’oggi) discussioni su come fosse possibile che un uomo potesse vivere una vita normale con solo il 10% del cervello. Il quoziente intellettivo dell’uomo era leggermente sotto la media, ma per il resto si trattava di un uomo con normali relazioni sociali, capace di lavorare e prendersi cura dei figli, con una coscienza completamente intatta. La spiegazione è stata cercata nei fenomeni di plasticità che caratterizzano il nostro cervello. In pratica, l’idrocefalo ci aveva messo circa 30 anni a scavare nel tessuto cerebrale, e la lentezza del processo aveva dato il tempo alle parti intatte di farsi progressivamente carico delle funzioni normalmente svolte dalle aree che venivano perse. Il cervello si era lentamente adattato a funzionare con solo il 10% della sua massa. Quindi non è vero che usiamo solo il 10% del nostro cervello ma…potremmo?
Mi duole dirvi che la risposta è no. Le evidenze scientifiche ci dicono che l’idrocefalo non ha scavato il cervello di quest’uomo, ma lo ha lentamente “schiacciato” sulle pareti della scatola cranica. Il cervello si è dunque adattato, ma al progressivo aumento di pressione, non alla perdita di massa. Il cervello, infatti, non è un tessuto solido e rigido, ma somiglia più a una spugna un po’ molliccia: schiacciare una spugna la comprime, ma non altera la sua massa. Dunque, il cervello era ancora lì in gran parte intatto, anche se “un pochino” più sottile del normale.
Mito dell’utilizzo del 10% del cervello, la scienza ti ha battuto, il cinema ti terrà in vita.