Durante la prima ondata l’Italia è stata tra i paesi più duramente colpiti al mondo, ma non uniformemente. Mentre infatti al nord la situazione era drammatica sotto ogni punto di vista, il sud è stato tutto sommato risparmiato, con meno contagi e una letalità decisamente inferiore.
La spiegazione più semplice (e più accettata) è che il virus sia arrivato prima al nord, che è molto più collegato con la Cina, e che si sia diffuso localmente nei mesi di gennaio e febbraio. Quando a marzo poi tutta l’Italia è stata messa in lockdown, i pochi contagi del sud non hanno avuto modo di far esplodere dei focolai come al nord proprio perché le misure di contenimento lo hanno prevenuto.
È risaputo però che le spiegazioni facili non siano popolari, e così per un po’ si è parlato di un mistico “scudo genetico” che avrebbe protetto il sud dai contagi.
L’idea veniva da uno studio coordinato da Antonio Giordano in cui la distribuzione territoriale dei contagi veniva correlata con quella di alcuni geni coinvolti nella risposta immunitaria.
Da questa ricerca si vedeva come le aree col maggior numero di contagi fossero anche quelle con le più alte percentuali di persone coi geni HLA-B*44 e HLA-C*01, e che coincidessero con alcune province del nord Italia.
Come con l’inquinamento però, il fatto che si sia trovata una correlazione non significa necessariamente che le due cose siano collegate, che ci sia un rapporto di causalità.
C’è infatti un problema di base: cosa c’entra la risposta immunitaria con la diffusione del virus?
La risposta immunitaria determina cosa succede dopo il contagio, il decorso clinico del positivo, ma non ha nulla a che fare con la prevenzione del contagio.
Dal punto di vista statistico è quantomeno discutibile l’utilizzo dei dati del contagio della prima ondata: all’epoca infatti le differenze regionali tra i positivi erano dovute più al criterio con cui venivano fatti i tamponi piuttosto che alla situazione reale. Inoltre, i dati si rifanno al periodo di fine febbraio – inizio aprile, in cui la circolazione del virus era certamente più influenzata dalle misure di contenimento che da improbabili influenze genetiche.
Come quello dell’inquinamento, anche questo “studio” non rivelava quindi proprio niente, ma figurarsi se si poteva perdere l’occasione per spacciare una brutta pubblicazione per oro colato.
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